DIAGNOSI PRENATALE NON INVASIVA
Sappiamo che circa il 3% dei neonati è affetto da anomalie cromosomiche, o difetti genetici, o malformazioni congenite, ma in molti casi queste malattie possono essere prevenute, diagnosticate proprio grazie alle indagini prenatali.
Le patologie cromosomiche rappresentano una parte importante dei difetti congeniti. Possono riguardare il numero complessivo dei cromosomi (trisomie, monosomie, poliploidie) o la loro struttura (traslocazioni, delezioni, inversioni, ecc.).
La forma più comune nell’uomo è la Trisomia 21 (mongolismo o sindrome di Down) che compare in un caso su 700 bambini nati vivi. Altre cromosomopatie sono la Trisomia 13 (sindrome di Patau) e la Trisomia 18 (sindrome di Edward), che portano gravi difetti multipli e poche possibilità di sopravvivenza.
Meno gravi sono la sindrome di Turner (45x) o la sindrome di Klinefelter (47xxy), in cui sono interessati i cromosomi sessuali xy.
Nella grande maggioranza dei casi compaiono per caso e con un rischio per la singola gravidanza che aumenta con l’aumentare dell’età materna. Non è stato però possibile dimostrare un’età al di sotto della quale il rischio non esista.
A quanto pare, invece, l’età del futuro papà non incide in modo sostanziale sul rischio. Però, secondo la letteratura medica, più l’età paterna avanza più si manifestano mutazioni “de novo” (che compaiono per la prima volta) nel dna dello spermatozoo. Queste mutazioni possono causare anomalie genetiche malformative.
E’ molto importante, quindi, che la coppia venga informata correttamente su quali esami oggi sono disponibili, a quali epoche di gravidanza vengono eseguiti, come si svolgono, se sono o no pericolosi, e che tipo di problemi fetali permettono di evidenziare.
Si possono distinguere due categorie di esami: quelli non invasivi che non comportano nessun rischioper il nascituro, e quelli invasivi che invece comportano un minimo di rischio.
Tra i test non invasivi ricordiamo il Test del DNA fetale e il Test Combinato.
Test DNA Fetale
È un nuovo esame di diagnosi prenatale che consiste in un semplice prelievo di sangue alla futura mamma. ll test va ad analizzare la quantità di Dna fetale presente nel sangue materno. Si sa da una decina di anni che nel sangue materno sono presenti cellule del feto, o meglio della placenta, che contiene il medesimo corredo genetico del feto. Da circa un anno e mezzo, grazie a sofisticati macchinari, si è riusciti ad isolare questo Dna (in modo da non confonderlo con quello materno) e replicarlo in laboratorio, fino ad ottenerne una quantità sufficiente per analizzarlo. L’esame offre un’attendibilità superiore al 99% ma per ora si può eseguire solo privatamente e il costo si avvicina a 800,00€ euro. Il test del dna fetale nel sangue materno si esegue dalla 12° alla 14°settimana: non prima, perché la quantità di dna presente nel sangue potrebbe non essere sufficiente per l’indagine; non dopo, altrimenti si perde il vantaggio della precocità dell’indagine. Permette di analizzare il Dna fetale per scoprire le tre patologie cromosomiche più frequenti, e cioè la sindrome di Down (o trisomia 21), la sindrome di Edwards (trisomia 18) e di Palau (trisomia 13). L’esame offre un’attendibilità superiore al 99%. I falsi positivi sono molto rari, inferiori all’1%. Tuttavia, poiché si tratta di un esame molto recente, le società scientifiche raccomandano di confermare un eventuale esito positivo (quindi patologico) sottoponendosi a un esame tradizionale, cioè l’amniocentesi o la villocentesi, prima di valutare una possibile interruzione di gravidanza. I falsi negativi sono possibili, anche se rari, come per tutte le tecniche di laboratorio. Il test del Dna da sangue materno è indicato per le future mamme che non presentano fattori di rischio e desiderano sapere se il feto è affetto da una delle tre trisomie più diffuse senza esporsi al rischio di aborto dato da villocentesi ed amniocentesi.
Se invece la futura mamma già ha fattori di rischio, ad esempio malattie ereditarie o un precedente figlio affetto da sindrome di Down o altra patologia cromosomica, oppure ha effettuato un test di screening (come il test combinato del primo trimestre) che ha evidenziato un rischio aumentato di anomalie fetali, allora la coppia dovrà valutare se è più opportuno rivolgersi direttamente a un esame invasivo che permette indagini genetiche più estese. Questo fa comprendere che, prima di decidere a quale esame di diagnosi prenatale sottoporsi, la coppia dovrebbe sempre poter effettuare una consulenza genetica, che la aiuti a compiere la scelta più adatta alla propria situazione. Si tenga presente infine che il test si può eseguire solo su feti singoli, mentre non è attendibile per i gemelli, poiché, pur identificando una eventuale trisomia, non è in grado di attribuire il dato patologico al gemello corrispondente. Anche se si tratta di un esame molto preciso, il test del Dna a oggi non sostituisce villocentesi e amniocentesi, che sono molto più completi perché tramite il prelievo dei villi coriali o del liquido amniotico si riesce ad analizzare una quantità molto maggiore di Dna e ad indagare l’assetto cromosomico completo, più altre eventuali anomalie che, con le attuali tecnologie, non sono indagabili con il solo prelievo di sangue materno.
Test combinato
Il test combinato del primo trimestre è un test di screening composto da due distinti esami: l’ecografia della translucenza nucale e un prelievo di sangue materno, chiamato duo-test o bi-test. Si esegue nel primo trimestre, esattamente tra la 11ma e la 14ma settimana, e serve per calcolare il rischio che il feto sia affetto da anomalie cromosomiche, in primo luogo la trisomia 21 (la sindrome di Down), che è la più frequente, oltre alla trisomia 13 e la 18. I dati che emergono dalla translucenza nucale e dal duo-test vengono elaborati da un software specifico in combinazione con l’età materna (è ormai provato, infatti, che più aumenta l’età materna, maggiori sono le probabilità di concepire un figlio affetto da sindrome di Down), la lunghezza del feto e l’epoca gestazionale. La sensibilità del test combinato, ossia la capacità di individuare le gravidanze a rischio di anomalie cromosomiche, è del 90-95%, a patto che venga eseguito da personale specializzato.
Translucenza nucale (sigla TN). Per translucenza nucale si intende la misura della falda liquida che si accumula dietro la nuca del feto: più è basso questo valore, minore è la probabilità di malformazioni, viceversa più spessa è la TN, maggiori sono le probabilità che il feto sia affetto da Sindrome di Down o altre anomalie. Impossibile indicare una linea di demarcazione netta tra un esito di normalità ed un esito di non normalità, anche perché molto dipende dall’epoca gestazionale in cui l’ecografia viene effettuata. In più, oltre alla falda liquida nucale, di recente sono stati aggiunti altri markers, come la valutazione ecografica dell’osso nasale (nel 70% circa dei feti affetti da Sindrome di Down l’osso nasale non è presente), il flusso nel dotto venoso, il flusso tricuspidale e l’angolo facciale”.
Duo-test
Il duo test è un test di screening biochimico di recente acquisizione, basato sul prelievo di un piccolo campione di sangue materno in cui si vanno a dosare due sostanze di origine placentare, rispettivamente chiamate β-HCG (frazione beta libera della gonadotropina corionica) e PAPP-A (proteina plasmatica A associata alla gravidanza).
I due valori sono inversamente proporzionali, cioè se la PAPP-A diminuisce, la free b-hCG aumenta, e più questi valori si discostano tra loro, maggiore è il rischio di anomalie. I risultati dei dosaggi vengono espressi in Multipli della Mediana (la sigla è Mom), mediante un calcolo che ha lo scopo di eliminare le differenze di unità o di metodi di misurazione che vengono utilizzati dai singoli operatori o dai singoli Centri che eseguono l’esame. Per questo motivo, anche con il duo test non si possono indicare valori precisi ‘di normalità’, ma l’interpretazione del test deve essere sempre globale.
DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA
DIAGNOSI PRENATALE 2: I TEST INVASIVI
Riprendiamo il discorso sulle varie metodiche oggi esistenti per fare una diagnosi prenatale che dia ai nuovi genitori una certa sicurezza di aspettare un bimbo sano. Nel precedente articolo abbiamo parlato di quegli esami che non sono invasivi e quindi non portano con sé nessun rischio per la salute della mamma e del bambino; ma che al tempo stesso hanno delle limitazioni. Qui invece voglio descrivere i test invasi che danno risposte più certe ma portano con sé un certo grado di rischio materno/fetale.
Vediamo quali sono:
VILLOCENTESI
Si tratta di una metodica invasiva che viene eseguita tra la 10°e la 12° settimana di gravidanza, mediante la quale, per via trans addominale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di villi coriali, ovvero la parte embrionale della futura placenta, dai quali poi viene effettuata l’analisi del cariotipo e, se richiesto, anche l’analisi molecolare per specifica malattia genetica. La tecnica ha un rischio di perdita fetale stimato intorno al 1%. Per l’analisi standard del cariotipo i villi vengono sia analizzati direttamente (analisi diretta, con referto in 5 giorni) che messi in coltura (coltura a lungo termine, con referto in 20 giorni). Molti centri che offrono la villocentesi affiancano ad essa la QF-PCR, una diversa metodica di studio, che permette di dare una risposta in 2 giorni. Non è richiesta nessuna preparazione né prfilassi particolare.
AMNIOCENTESI
Si tratta di una metodica invasiva che viene eseguita intorno alla 16° settimana di gestazione. Viene in genere utilizzata da quelle mamme che o non avevano deciso in tempo di fare la villocentesi, o avevano paura o percepivano la villocentesi come più pericolosa. Si esegue per via trans addominale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di liquido amniotico, sul quale viene effettuata l’analisi del cariotipo e, se richiesto, anche l’analisi molecolare per specifica malattia genetica. La tecnica ha un rischio di perdita fetale stimato intorno allo 0,5%. Per l’analisi standard del cariotipo gli amniociti (cellule del liquido amniotico) vengono messe in coltura e analizzate dopo almeno 2 settimane (per cui si può avere un referto in 20 giorni). Molti centri che offrono l’amniocentesi affiancano ad essa la QF-PCR con referto in 2 giorni. Non è richiesta nessuna preparazione né prfilassi particolare.CORDOCENTESI
Si tratta di una metodica invasiva che viene eseguita, solo per indicazione specifica, intorno alla 18°-20° settimana di gestazione, o anche più tardivamente, mediante la quale, per via trans addominale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di sangue fetale dai vasi del cordone ombelicale, sul quale vengono effettuate le specifiche analisi di conferma che hanno richiesto il ricorso a questa tecnica. La tecnica ha un rischio di perdita fetale stimato intorno all’ 1% se la procedura viene effettuata dopo le 20 – 22 settimane, mentre è più rischiosa se si interviene a 16-18 settimane. Non tutti i Centri eseguono tale procedura poiché richiede grande esperienza e manualità per minimizzare i rischi. Sul sangue fetale è possibile eseguire le stesse analisi dell’età post-natale, inclusi gli esami infettivologici.Tutti questi esami appena descritti comunque non sono in grado di dirci se il feto avrà per esempio un labbro leporino o un piede torto o comunque tutte quelle malformazioni che non sono correlate con una alterazione dei cromosomi. Si tratta di malformazioni che si possono manifestare a seguito di infezioni virali contratte dalla mamma durante la gestazione, oppure da sostanze tossiche ( ambientali, alimentari ecc) che possono essere venute a contatto con la mamma.
Gli esami che vengono utilizzati per studiare il patrimonio cromosomico, sono il cariotipo standard, il QF-PCR e il CGH-array